Le Patologie della Razza AKITA

L’adenite sebacea

L’adenite sebacea (SA) è una malattia della pelle. Ad oggi le cause di questa patologia non si conoscono. La maggior parte dei cani colpiti da SA rimangono gli stessi cani felici di sempre e richiedono le stesse attenzioni da parte dei proprietari di prima. La SA è un infiammazione delle ghiandole sebacee che procura una reazione autoimmune che colpisce primariamente i sebociti e/o il sebo , provocando la loro completa distruzione; le ghiandole sebacee si trovano nella pelle del cane e servono per lubrificare e proteggere la pelle. Non esiste ancora un medicinale efficace al 100% per curare I cani affetti. La nostra continua ricerca indica che negli Akita ci sia un eredità mendeliana che si manifesta in una varietà di modi. Per supportare la nostra ricerca abbiamo bisogno dei pedigree dei cani sintomatici (solo cani che sono stati testati e diagnosticati dal veterinario) insieme ai campioni di sangue con l’esame EDTA.

Contatto: PD DR. I. Pfeiffer – email: [email protected]

La displasia dell’anca

PATOLOGIE CONGENITE NEI CANI NORDICI RELAZIONE DEI MEDICI VETERINARI INVITATI AL CONVEGNO SU ALCUNE MALATTIE CONGENITE NEI CANI NORDICI TENUTOSI IN OCCASIONE DEL “CAMPIONATO SOCIALE C.I.R.N. ‘98″ IL 28. MARZO A REGGIO EMILIA RELAZIONE DOTT. PARESCHI (LETTORE UFFICIALE DISPLASIA DELL’ANCA)RICERCA DISPLASIA DELL’ANCA(ABBREV.: HD)


Signor Presidente,La HD ha vissuto nel 1997 una data molto importante: il 25° anno dell’inizio della ricerca ufficiale in Italia. L’avvenimento e’ stato ricordato il 12 ottobre 1997 con una manifestazione congressuale a Verona, alla quale sono stati invitati, oltre ai medici veterinari “fiduciari” della ricerca, anche il Presidente E.N.C.I. ed i Presidenti delle Societa’ di Razza, aderenti al piano di ricerca.
La partecipazione e’ stata molto numerosa ed i temi trattati hanno focalizzato la situazione attuale della HD, come si e’ potuto constatare dall’ampia discussione che ne e’ seguita.
I temi del meeting sono stati di ordine tecnico ed organizzativo.

L’aspetto tecnico ha evidenziato ancora una volta come si sia lontani dalla soluzione del problema HD; consapevoli di questa situazione in Italia, e solo in Italia, sono stati approntati sistemi innovativi con l’adozione di una ricerca integrata e computerizzata in funzione dal 1° luglio 1994, pur mantenendo il più assoluto rispetto delle norme emanate dalla Commissione Scientifica della F.C.I.
Con questa metodica si e’ potuto fornire agli allevatori ed ai proprietari dei soggetti sottoposti a ricerca HD una serie di dati, atti a rendere comprensibile e direi quasi “visibile” un difetto congenito ed ereditario occulto, quale e’ la HD.
La risposta da parte degli allevatori si deve constatare che non e’ stata sempre pari alle aspettative sia della Centrale di Lettura, sia delle Societa’ Cinofile interessate; corre l’obbligo di distinguere tra le varie razze, mentre e’ rimasta inascoltata o, quantomeno, poco recepita, per le razze per le quali il Club interessato non ha ritenuto di imporre l’obbligatorieta’ della ricerca con il riconoscimento di “non displasico” almeno per l’acquisizione dei titoli di maggior prestigio (Campione Sociale, Selezione di 1°, ecc…) .

La HD e’ una maledetta patologia poligenica e polifattoriale; vale a dire che e’ governata da più geni (almeno 15 conosciuti fino ad oggi) a carattere recessivo e penetrante, quindi difficili da identificare ed imprevedibili nelle loro manifestazioni. Ad esse si assommano anche una serie di fattori acquisiti (ambientali, nutrizionali, ecc.) che contribuiscono non poco ad aggravare il quadro.
Oltre tutto non esiste un confine netto che possa darci informazioni, indicandoci ad esempio fin dove agiscono i fattori genetici e quando iniziano quelli acquisiti.
Al fine di disporre di maggiori dati in Italia, unico Paese non di estrazione anglosassone, la ricerca HD viene corredata, sia pure in via ufficiosa da una lettura con il metodo del Dr: Willis.
I parametri F.C.I. sono stati elaborati nel 1983 ed ancor oggi sono gli stessi. Si deve constatare che hanno retto bene e certamente sono stati molto utili per rendersi conto di quanto sia presente ed invasiva la HD.

I risultati ottenuti non sono certamente pari agli sforzi profusi e necessitano, a mio parere, di un aggiornamento.
Alcune Societa’ di Razza gia’ hanno adottato provvedimenti coraggiosi, riconoscendo non displasici solamente i soggetti “Normali” o “Quasi normali”, escludendo pertanto quelli giudicati con “Leggera HD”.
Viene rispettata in tal modo anche una logica interpretazione, di conseguenza, cancellata una evidente contraddizione, che ammette tra gli “esenti” dei cani già in partenza portatori di displasia, sia pure “Leggera”.
Sono pienamente concorde con questi Club e da sempre ho espresso e continuo ad esprimere il mio dissenso nella sede opportuna. Non spetta a me (non ne avrei il potere) di modificare i parametri ufficiali della F.C.I.; posso non essere d’accordo, lo dimostrano i programmi computerizzati che archiviano ed elaborano dati di entrambi i metodi.

Ma e’ mio preciso dovere seguire le regole che la F.C.I., che gestisce la ricerca, mi ha affidato.
L’aspetto organizzativo risente ancora di una certa diffidenza ed anche disinteresse di parte degli allevatori, probabilmente anche a causa di una incompleta informazione e, quindi, conoscenza del problema e di quanto si sta facendo per arginarlo.
Adoperiamoci (per parte mia sono disponibile per quanto mi sarà possibile) per educare verso una cultura displasica gli allevatori e tutti coloro che si interessano di selezione cinofila.
Occorre innanzitutto poter disporre di dati statistici; oggi disponiamo di una semplice casistica, certamente valida ed utile, ma con forti limitazioni per poter trarre dei risultati pratici.
Occorre conoscere i soggetti displasici ed i loro ascendenti. Il riserbo degli allevatori e’ comprensibile; oggi allevare comporta qualche soddisfazione e molti sacrifici, quindi nessuno di loro può’ approvare che vengano diffuse notizie negative per il proprio allevamento, pubblicando ad esempio sugli organi di informazione sociali e più genericamente su periodici cinofili, che questo o quel soggetto, proveniente dall’allevamento “x” e’ portatore di HD.

Occorre, quindi, non divulgare i dati, che tuttavia, la Centrale di Lettura deve conoscere.
Un sistema che si sta attuando e’ quello di inviare alla Centrale di Lettura le radiografie dei cani displasici unitamente ad una fotocopia del certificato LOI (o documento equipollente); i dati verranno memorizzati mantenendo l’anonimato.
Altro sistema (più difficile da adottare) dovrebbe partire dall’E.N.C.I., impedendo l’iscrizione di cucciolate se non sara’ accertata radioograficamente la situazione HD dei genitori ; si badi bene, senza impedimento alcuno di accoppiare soggetti anche portatori di HD.
Tornerebbero particolarmente utili alla Centrale di Lettura osservazioni e suggerimenti parte del Club che Lei rappresenta.
In sede di COMMISSIONE ALLEVAMENTO della quale faccio parte, si e’ proposto di eliminare il termine “ESENTE” e di trascrivere i risultati ufficiali con i simboli, proposti dalla F.C.I. per non ingenerare confusione nella trascrizione del risultato del giudizio ufficiale oltre al simbolo, tra parentesi, indichero’ anche i precedenti sistemi, cosi’ come qui di seguito indicato: per i soggetti giudicati
“normale HD” simbolo “A” (-0-normale)” ” ” ” sospetta HD” ” “B” (-1-quasi normale)” ” ” ” leggera HD ” ” “C” (- 2-leggera)” ” ” ” media HD” ” “D” (-3-media)
” ” ” ” grave” HD ” “E” (-4-grave)

A Lei, a tutti i Consiglieri e Soci i miei più’ cordiali saluti.

Dr: Cesare Pareschi

La Leishmania

DI COSA SI TRATTA:

Per definizione la leishmaniosi canina è una malattia infettiva (causata da protozoi del genere Leishmania)atrasmissione indiretta(si può propagare per il tramite di un insetto vettore; tecnicamente si tratterebbe di uncontagio indiretto,ma per evitare fraintendimenti è preferibile utilizzare il termine contagio solo per le malattie a trasmissione diretta,come quelle da contatto[e non è questo il caso, salvo rarissime eccezioni]),a carattere zoo gnostico (può essere trasmessa dal cane all’uomo e viceversa). La leishmaniosi umana è considerata in molti Paesi un grave problema di salute pubblica;del resto il parassita risulta largamente diffuso,minacciando ben 350 milioni di persone in 88 Stati di 4 continenti. L’incidenza annuale della malattia è stimata intorno a 1,5-2 milioni di nuovi casi all’anno. Anche nelle zone in cui desta maggior preoccupazione la leishmaniosi umana rispetto a quella canina(soprattutto nei Paesi in via di sviluppo),il nostro animale viene tenuto in grande considerazione,in quanto è considerato il più importante serbatoio(“fonte” d’infezione umana)del parassita,anche se diverse pubblicazioni mettono in discussione questo assunto troppo spesso dato per scontato. Questo dipende soprattutto dalla stretta vicinanza cane-uomo(condividono lo stesso habitat)e dal fatto che nell’animale la malattia ha generalmente andamento cronico,per cui si ha una prolungata persistenza del microrganismo. In questo senso è interessante rilevare come Leishmania sia un “formidabile” parassita,in quanto permette una sopravvivenza protratta dell’ospite canino,e quindi anche di se stessa,almeno fino alla successiva stagione di trasmissione(disponibilità dell’insetto vettore). Ed il fatto che,in un tempo generalmente lungo(anni),l’animale venga portato a morte, suggerisce che il cane sia un ospite recente,in termini evoluzionistici.

UN NEFASTO CONNUBIO:

La Leishmania sarebbe niente senza il suo ospite invertebrato,il flebotomo vettore,l’insetto che il parassita sfrutta a proprio vantaggio per compiere parte del suo ciclo biologico,senza che lo stesso venga in qualche modo danneggiato(connubio flebotomo-Leishmania evoluzionisticamente antico),per lo meno in senso “vitale”,in realtà,come vedremo in seguito,l’insetto subisce alcune piccole alterazioni finalizzate alla sopravvivenza ed alla trasmissione del parassita. Il protozoo viene definito dixeno,in quanto ha bisogno di due ospiti biologicamente diversi(il flebotomo ed il mammifero)per compiere il proprio ciclo vitale(ciclo biologico). È anche definito dimorfico,perché esiste in 2 forme differenti:promastigote ed amastigote. La prima è quella che Leishmania assume nell’insetto(ed in laboratorio,nei mezzi di coltura),con una morfologia allungata e sottile,provvista di flagello (struttura adibita al movimento ed all’interazione con le strutture cellulari dell’ ospite),della lunghezza di 15-30 micron(1 micron = 0,001 millimetri)per 2-3 micron di larghezza. L’amastigote,forma parassitaria del cane,ha invece una struttura globosa od ovalare,di 2-6 per 2-3 micron,e si localizza prevalentemente all’interno delle cellule fagocitiche mononucleate.

I flebotomi o pappataci sono insetti ditteri (hanno 2 ali);nel bacino del Mediterraneo l’unico genere coinvolto nella trasmissione di Leishmania infantum(la sola specie del protozoo responsabile della malattia alle nostre latitudini)è ilPhlebotomus,con alcune specie,tra cui P. perniciosus,P. perfiliewi e P. major. Il ciclo vitale dei flebotomi comprende due diversi stadi biologici:l’adulto volante e la fase di sviluppo(uovo, 4 stadi larvali e pupa),che si realizza in terreni umidi ricchi di materiale organico. Gli adulti hanno 2-4 mm di lunghezza ed il corpo giallastro e peloso. Durante il giorno restano in luoghi oscuri e riparati:abitazioni,cantine,stalle,grotte,crepe dei muri,delle rocce e del suolo,fitta vegetazione,buchi degli alberi,tane di roditori o di altri animali,nidi di uccelli e formicai. L’attività dei flebotomi si realizza nelle ore crepuscolari(un picco appena dopo il tramonto) e notturne. Possono arrivare a coprire fino a 2,3 chilometri e la loro velocità è di circa 1 metro al secondo. Solo le femmine di pappatacio si nutrono di sangue,al fine di permettere la maturazione delle uova(il tempo che intercorre fra un pasto di sangue e la maturazione delle uova è di 4-8 giorni). Analogamente ad altri artropodi ematofagi,il pasto di sangue da parte del flebotomo è preceduto,a livello della superficie cutanea dell’ospite,dalla deposizione di saliva,che contiene sostanze farmacologicamente attive,come anticoagulanti e vasodilatatori(per agevolare la successiva suzione),le quali possono determinare reazioni “allergiche” più o meno gravi. Allorché un flebotomo di sesso femminile punge un mammifero infetto,può ingerire amastigoti intracellulari (probabilmente anche extracellulari)che passano direttamente nella parte addominale dell’intestino. All’interno del pasto di sangue gli amastigoti si trasformano in promastigoti mobili che si moltiplicano attivamente. Successivamente i parassiti migrano verso la parte anteriore dell’intestino,in cui divengono promastigoti metaciclici,le forme infettanti per l’ospite vertebrato(cane)e quindi si localizzano nelle strutture pungitrici. Il tempo minimo in cui si realizzano queste trasformazioni(pasto di sangue – promastigoti metaciclici)è di 5-6 giorni(fino a 19-20,in dipendenza soprattutto delle condizioni climatico-ambientali). La successiva puntura del flebotomo infetto deposita i promastigoti nella cute,e le cellule fagocitarie mononucleate del cane “inglobano” tali promastigoti che si trasformano quindi in amastigoti e si moltiplicano per semplice divisione binaria. I meccanismi che consentono il successo della trasmissione dei promastigoti, dall’apparato buccale del flebotomo alla cute dell’ospite mammifero, sono solo in parte chiariti,ma è evidente che il parassita riesce ad inibire,in qualche misura,la suzione dell’insettoche,almeno inizialmente, ostacolerebbe la “penetrazione” dei promastigoti nell’organismo. Essi infatti producono alcune sostanze che impediscono l’assunzione di sangue da parte del flebotomo,addirittura arrivando a determinare un certo grado di degenerazione dell’apparato pungitore,evento che favorisce il rigurgito dei parassiti stessi.

Non ci sono più le aree di una volta

Fino a pochi anni fa si affermava che la leishmaniosi canina fosse confinata in zone relativamente limitate del centro-sud Italia e delle isole (maggiori e minori).Nel 1989 Gradoni scriveva:

“attuali o potenziali focolai sono riconoscibili con distribuzione discontinua in tutte le zone rurali o periurbane della fascia costiera tirrenica e nelle aree collinari ad ovest della dorsale appenninica fino ad una altitudine di 500-600 m s.l.m.; nelle regioni costiere e sub-appenniniche dello Ionio e del basso Adriatico,fino al Gargano….”

È probabile che questa situazione dipendesse più da una sottostima della reale incidenza della malattia,che da un’effettiva distribuzione limitata.Comunque sia,è innegabile che attualmente si abbiano segnalazioni di casi da ogni parte d’Italia,anche da regioni tradizionalmente ritenute indenni(Veneto,Lombardia,Piemonte,Emilia Romagna).La distribuzione dei casi di leishmaniosi canina non è uniforme nelle regioni endemiche,bensì a focolaio,con differenze anche notevoli fra aree contigue.Questo fatto riflette l’analoga diffusione dei flebotomi vettori che,a sua volta,dipende dalle differenze di habitat. Per spiegare la maggiore urbanizzazione della malattia,sono stati invocati anche interventi umani,come quelli di deforestazione e,nelle grandi città europee,lo spostamento dei residenti dal centro alla periferia,con la proliferazione delle abitazioni monofamiliari dotate di giardino in cui solitamente viene tenuto il cane. Si riporta un elenco (sicuramente sottostimato)di Paesi in cui il cane è il provato o sospetto serbatoio della malattia umana. Europa: Albania, Bosnia, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, Turchia, ex URSS, Yugoslavia; Africa: Algeria, Egitto, Marocco, Senegal, Sudan, Tunisia; Asia: Cina, Israele, Libano, Pakistan Arabia Saudita, Siria, Yemen; America: Brasile, Bolivia, Colombia, Perù, USA, Venezuela.

Ma è colpa solo del flebotomo?

Non stiamo parlando di altri possibili insetti ematofagi responsabili della trasmissione(come pure,all’inizio del secolo scorso,veniva erroneamente ipotizzato:cimici,zecche,pulci e pidocchi);bensì della possibilità di un contagio diretto,ovvero senza l’intervento del flebotomo vettore.Nell’uomo è dimostrata la possibilità della trasmissione diLeishmania da madre a figlio durante la gravidanza. Per quanto riguarda il cane si hanno pochi dati contrastanti:nel 1995 i ricercatori dell’Università di Pisa isolarono il parassita da un cucciolo appena nato,anche se non fu chiaro se il contagio fosse avvenuto veramente durante lo sviluppo fetale o al momento del parto. Recentemente uno studio condotto in maniera mirata,ha escluso la possibilità di questo tipo di trasmissione.Allo stato attuale il contagio materno-fetale non può essere completamente escluso e,pur non potendo traslare le evidenze risultanti dalla leishmaniosi umana,la cosa pare probabile a diversi studiosi(anche se c’è da dire che la circolazione placentare nella specie canina è molto meno permissiva rispetto all’uomo).Comunque sia,anche se venisse innegabilmente dimostrato che la trasmissione della leishmaniosi canina da madre a figlio non è possibile,certamente una cagna leishmaniotica non dovrebbe essere fatta accoppiare,in quanto la gravidanza è un evento stressante che può riattivare la malattia eventualmente quiescente.In medicina umana destano serie preoccupazioni gli scambi di siringhe infette fra tossicodipendenti e le trasfusioni di sangue(in particolare in soggetti immunodepressi quali gli HIV positivi).Del resto è stata dimostrata la possibilità della trasmissione del parassita,attraverso lo scambio di sangue trasfusionale,da un soggetto infetto ad uno sano,sia nell’uomo che nel cane.Il parassita sopravvive nelle sacche di sangue refrigerato, mentre alle temperature di congelamento il comportamento può variare: se è vero che un congelamento rapido uccide la maggior parte dei parassiti eventualmente presenti nel sangue,è altresì vero che il congelamento controllato(ovvero con l’aggiunta di crioprotettivi e rispettando certi tempi di raffreddamento),è la tecnica generalmente utilizzata per conservare collezioni di protozoi,cellule,embrioni,ecc.Ciò premesso,non si può che promuovere un controllo anche del sangue canino prima di destinarlo alle trasfusioni(per inciso:il solo controllo sierologico non può essere considerato sufficiente ad escludere l’infettività del sangue).C’è anche chi teme il coito(accoppiamento)come possibile evento che permetta la trasmissione del parassita.Non esistono studi seri al riguardo anche se,nell’incertezza,sarebbe bene non rischiare l’accoppiamento di cani leishmaniotici.Recentemente il parassita è stato ritrovato nello sperma ed in alcune strutture sessuali maschili,per cui almeno il maschio infetto può essere considerato un potenziale portatore dell’infezione durante l’accoppiamento.

Le persone che hanno in casa animali ammalati,allorché vengono a conoscenza del fatto che la leishmaniosi è una patologia che può interessare anche l’uomo,si chiedono se non sussista un rischio reale di contagio fra il proprio cane e gli esseri umani conviventi.Preoccupano soprattutto la presenza di bambini piccoli,di persone anziane e le punture accidentali con gli aghi delle siringhe utilizzate per le iniezioni.Tale pericolo è solo teorico,non pratico.Per quanto riguarda la normale via di trasmissione del ciclo zoonosico della leishmaniosi,ovvero cane infetto/flebotomo/uomo,se si vive in zona endemica(area in cui la malattia è molto diffusa),non c’è alcuna ragione di temere il proprio cane infetto,più di tutti quelli presenti nella stessa area;senza contare l’importanza degli animali selvatici che possono fungere da serbatoio del parassita(ratti, volpi, pipistrelli, ecc.).Si dovrebbe ragionare allo stesso modo,prima di domandarsi se il proprio cane sano corra qualche rischio ad avere contatti(giochi, passeggiate, ecc.)con cani infetti.Per quanto riguarda le punture accidentali con le siringhe,siamo veramente nel campo delle ipotesi fantascientifiche,più che scientifiche.Sono necessarie alcune schematiche precisazioni:i flebotomi prediligono pungere i cani rispetto all’uomo(sono cioè prevalentemente zoofili, piuttosto che antropofili),inoltre agiscono di preferenza all’esterno (esofilia)più che nelle abitazioni(endofilia);meno della metà dei cani che vivono in zona fortemente endemica risultano infetti e quindi rappresentano un pericolo potenziale(ricordiamo che,a differenza di quanto si è a lungo sostenuto,sono infettanti non solo gli animali sintomatici,ma anche gli asintomatici);nelle regioni italiane in cui è più diffusa,laleishmaniosi umana colpisce 1 soggetto ogni 200 mila abitanti(è quindi una malattia rara),e in genere si tratta di individui immunodepressi(HIV positivi,trapiantati,altre situazioni di immunodeficienza);probabilmente molte persone che vivono in zona endemica vengono punte dai flebotomi infetti,ma solo un’infinitesima parte di esse si ammala di leishmaniosi(soprattutto per una differenza nelle risposte immunitarie al parassita nell’uomo rispetto al cane);nei Paesi in cui la leishmaniosi rappresenta un grave problema di salute pubblica(fra cui non c’è l’Italia),meno del 5% dei soggetti immunocompetenti esposti al contagio mostra segni clinici d’infezione; nelle aree con la più alta incidenza di malattia canina(Isola d’Elba, interland vesuviano,Ustica,ecc.),non si registrano alti valori di casi di leishmaniosi umana;il fatto di avere in casa uno o più cani ammalati non è mai stato messo in relazione con un rischio maggiore di malattia umana(e quando questo viene fatto,anche in pubblicazioni scientifiche,si tratta di ipotesi,se non illazioni,più che prove certe);bambini in buona salute,soprattutto se alimentati naturalmente,possono andare incontro ad infezione in via praticamente ipotetica.

Una lotta armata

Secondo il prof.Oliva(Università di Napoli)la leishmaniosi canina è una lotta armata fra il parassita ed il sistema immunitario dell’ospite. Infatti l’immunità(il complesso meccanismo che si oppone ad ogni “disturbo estraneo”)è di fondamentale importanza in questa patologia,è lei che “decide” se l’infezione(penetrazione del parassita nell’organismo canino)progredisce verso la malattia infettiva(leishmaniosi canina)o resta un’infestazione “benigna”(autolimitante).L’immunità viene distinta in umorale(produzione di anticorpi)e cellulo-mediata(attivazione di cellule contro gli agenti estranei),ma questa è più che altro una suddivisione didattica in quanto,nella lotta ai microrganismi patogeni, sono strettamente connesse e dipendenti.La patologia si realizza in quei cani in cui prevale un certo tipo di risposta immune,detta Th2 (dalla tipologia di cellule linfocitarie coinvolte),che non è in grado di attivare efficacemente l’immunità cellulo-mediata. Nei soggetti in cui prevale la risposta Th1 la malattia non si realizza(anche questa distinzione è didattica ed ormai appartiene al passato della ricerca scientifica sulla leishmaniosi).Molto probabilmente la prevalenza dell’una o dell’altra risposta dipende da ragioni(anche)genetiche(un po’ come dire che la leishmaniosi si verifica nei cani “predestinati”),ma le intime ragioni non sono completamente note.I due tipi di risposta non sono inalterabili;il cane,nel corso dell’infezione,può passare dall’uno all’altro tipo,per motivi non sempre noti:dalla risposta protettiva(Th1)a quella non protettiva(Th2)per malattie intercorrenti,stress di varia natura(gravidanza, malnutrizione,affaticamento eccessivo),ecc.;dalla non protettiva alla protettiva soprattutto grazie al successo della terapia.

Come abbiamo visto,gli amastigoti di Leishmania si insediano principalmente nei macrofagi che,in condizioni normali,sono le cellule più potenti nella difesa aspecifica contro gli agenti infettivi:li “inglobano” (fagocitosi),li uccidono e quindi,una volta esaurito il loro compito, degenerano(apoptosi).In questo caso,invece,i macrofagi non solo non funzionano(o funzionano poco e/o male)ma finiscono per comportarsi da veri e propri “cavalli di Troia”.Infatti le leishmanie,all’interno di queste cellule,producendo particolari sostanze e/o “in virtù” delle loro strutture di superficie,riescono a sopravvivere ai potenti meccanismi “killer” macrofagici e,addirittura,ne ritardano od impediscono la normale degenerazione(i Greci restano nel cavallo così i Troiani non li possono vedere).In questo modo vengono trasportate,così protette nei confronti degli anticorpi e delle altre cellule coinvolte nei processi immunitari,in diverse sedi dell’organismo(milza,fegato,midollo osseo,linfonodi,occhi, ecc.),in cui continuano a proliferare.Non è finita qui,purtroppo.Le leishmanie all’interno dei macrofagi inducono una complessa alterazione dell’immunità del soggetto,non solo di quella cellulo-mediata,ma anche di quella umorale.Infatti stimolano la produzione di enormi quantità di anticorpi(immunoglobuline)che però non sono protettivi(come sarebbero se avessero potuto “vedere” i parassiti)e finiscono per arrecare i danni più gravi che si possono osservare in questa malattia(come quelli a livello renale ed oculare).Alcuni di tali anticorpi “difettosi”, addirittura,reagiscono contro strutture proprie dell’organismo canino (fenomeni immuno-patologici autoimmunitari),come quelle delle articolazioni(artrite/artrosi,dolori),dei muscoli(atrofia muscolare)e dei globuli rossi(anemia).

Tutto ed il contrario di tutto

I possibili sintomi della malattia sono numerosissimi,ma spesso ne sono presenti solamente alcuni o uno o addirittura nessuno(infezione asintomatica,più frequente della sintomatica).Per questo scordiamoci subito di ottenere una diagnosi esclusivamente clinica:al massimo è ipotizzabile una diagnosi di sospetto(chi ha una certa esperienza,non importa che sia veterinario o no,“intravede”un cane leishmaniotico [classico] anche a distanza).Ricordiamo comunque che un congruo numero di cani infetti non mostra segni clinici né anticorpi anti-Leishmania(test sierologico negativo).Dopo un periodo d’incubazione piuttosto lungo(da un mese a 4 anni:dati sperimentali,in condizioni naturali il momento dell’infezione resta sconosciuto),la malattia si presenta solitamente in forma cronica e generalizzata,anche se ci possono essere manifestazioni prevalenti o quasi esclusive in singoli apparati(a differenza che nell’uomo in cui si distinguono le forme viscerale, cutanea,muco-cutanea e dermica-post-viscerale,non tutte dovute alla “nostra”Leishmania),con manifestazioni a carico della cute, delle mucose e di carattere generale.

Vediamo quali sono queste manifestazioni,in ordine di frequenza:

Ingrossamento dei linfonodi;
Lesioni cutanee(dermatite furfuracea,ulcere,alopecia perioculare e diffusa,unghie abnormemente lunghe,pustole,depigmentazione nasale, noduli non ulcerati);
Mucose pallide;
Dimagrimento;
Febbre;
Abbattimento;
Anoressia(perdita/assenza d’appetito);
Ingrossamento della milza e del fegato;
Insufficienza renale;
Lesioni oculari(non solo congiuntivite);
Fuoriuscita di sangue dalle narici;
Lesioni articolari.
La perdita di pelo,benché possa essere diffusa a tutto il corpo, i presenta di preferenza su alcune aree,non solo, come abbiamo visto,nel contorno degli occhi:Padiglioni auricolari,dorso del naso,collo, prominenze ossee(gomiti,garretti,anche),regione lombare e coda.Le zone inizialmente alopeciche vanno incontro ad infiammazione e/o eczema furfuraceo ed eventualmente ad ulcerazione,anche se a volte,queste ultime lesioni,sono l’espressione di una sovrainfezione batterica (piodermite).Comunque sia le alterazioni cutanee puramente leishmaniotiche non sono pruriginose.L’aspetto generale del cane,in certi casi cutanei particolarmente avanzati,è quello di un soggetto anziano (“cane vecchio”).A volte si possono sovrapporre lesioni da rogna demodettica(rogna rossa),anche in animali adulti.Possono essere presenti zoppie più o meno evidenti,probabili espressioni di danni a livello muscolare,osseo ed articolare.Nei pazienti renali si evidenzia anche l’aumento dell’urinazione(poliuria)e della sete(polidipsia).Meno frequentemente si possono osservare diarrea,lesioni genitali,aborto nella fase avanzata della gravidanza ed alterazioni nervose come paresi e paralisi degli arti posteriori(soprattutto nelle rare forme acute).

Sono sempre presenti almeno alcune alterazioni degli esami di laboratorio,tra le quali,in ordine di frequenza,si annoverano: iperglobulinemia,basso rapporto albumina/globuline,ipoalbuminemia, iperproteinemia,anemia(diminuzione dei globuli rossi,dell’ematocrito, dell’emoglobina),diminuzione o aumento dei globuli bianchi,diminuzione delle piastrine,iperazotemia(aumento di creatininemia e BUN,indici [tardivi] più evidenti di danno renale),aumento di alcuni enzimi epatici nel sangue(transaminasi: ALT[ex GPT],AST [ex GOT]),presenza di proteine nelle urine(proteinuria: lesioni renali).

Per quanto riguarda la diagnosi,c’è da dire che la leishmaniosi non va confusa con alcune patologie(diagnosi differenziale),pure presenti nelle aree endemiche,che comunque possono anche manifestarsi concomitantemente alla leishmaniosi stessa:malattie trasmesse da zecche (ehrlichiosi,epatozoonosi,babesiosi),linfoma,dermatite allergica alimentare, da morso di pulci ed atopica,la già citata rogna demodettica e la sarcoptica(scabbia).Ai fini della diagnosi certa risultano fondamentali gli esami di laboratorio,alcuni dei quali possono essere eseguiti direttamente in ambulatorio,mentre altri,più sensibili e precisi,richiedono l’intervento di centri specializzati ed attrezzati(università,istituti zooprofilattici sperimentali,ecc.).Si distinguono esami specifici(quelli che ricercano,direttamente o indirettamente,la presenza del parassita) ed aspecifici(quelli che indagano le alterazioni laboratoristiche di cui abbiamo parlato). Tra i primi ci sono i test rapidi ambulatoriali (“completamente” attendibili solo in caso di positività[come del resto tutti gli esami del mondo:qualsiasi risultato negativo non esclude senz’ombra di dubbio la presenza di ciò che si sta cercando]),gli esami bioptici(linfonodi, midollo osseo,milza)seguiti dall’osservazione microscopia,gli esami sierologici(immunofluorescenza indiretta,ELISA, ecc.)e le tecniche molecolari(PCR).Tra gli esami aspecifici merita menzione l’elettroforesi delle proteine sieriche:si tratta di un esame quali-quantitativo che svela l’eventuale alterazione delle sieroproteine (albumina,globuline alfa,Beta e gamma)e dei loro rapporti;quadri di ipoalbuminemia ed aumento delle frazioni globuliniche beta e gamma,con proteine totali aumentate,sono decisamente sospetti di leishmaniosi. Questo saggio può essere utilizzato anche per il monitoraggio della bontà della terapia,anche se spesso i suoi risultati restano alterati piuttosto a lungo,pur in presenza –eventualmente– di uno stato clinico generale tutto sommato soddisfacente,se non perfetto.

Curabilità e guaribilità

La leishmaniosi canina è chiaramente curabile ma praticamente inguaribile dal punto di vista parassitologico,al contrario di quello puramente sintomatologico.Alcuni affermano che,in seguito ad opportuna terapia,è possibile la guarigione completa,ma la tendenza più diffusa del mondo scientifico è quella di considerare la Leishmania sempre presente,in qualche modo ed in qualche sede,nell’organismo. Frequentemente invece,quando le condizioni iniziali del cane non sono disperate(soprattutto la funzionalità renale),si ottiene la scomparsa dei sintomi(soprattutto quelli cutanei)e l’animale può condurre,anche per lungo tempo,un’esistenza soddisfacente(un animale asintomatico o con pochi sintomi è anche molto meno fonte d’infezione rispetto ad uno sintomatico).Purtroppo spesso si realizzano lerecidive(ricadute)che richiedono una nuova terapia,per cui i soggetti clinicamente guariti debbono essere controllati periodicamente.Il farmaco ideale contro la leishmaniosi canina non esiste,in quanto dovrebbe possedere spiccata attività leishmanicida,immunomodulatrice,a bassissima tossicità e senza effetti collaterali,di facile somministrazione e reperibilità in commercio, infine dovrebbe permettere terapie di breve durata.

Vivere in serenità

Di fronte a possibili quadri sintomatologici devastanti,ad una diagnosi quantomeno complessa,ad una terapia mai completamente risolutiva,quali possono essere le alternative allo stato di prostrazione psico-fisica della triade cane-proprietario-veterinario?Tutta la medicina moderna fonda i suoi successi sull’aspetto profilattico,più che su quello terapeutico.E questo è quanto mai vero per la leishmaniosi canina. Benché gli studi sui vaccini siano piuttosto intensi,non siamo ancora prossimi alla speranza di ottenere un prodotto realmente efficace e sicuro(notare l’esiguo cambiamento concettuale dal 2002 ad oggi). Preclusa dunque,almeno per il momento,ogni possibilità di profilassi diretta(vaccinazione),le uniche speranze restano quelle di prevenzione indiretta,in particolare evitando che i flebotomi pungano i cani.La battaglia ambientale contro i pappataci è persa in partenza,vista l’impossibilità dell’utilizzo massivo di insetticidi in aree tanto diverse (habitat dei flebotomi)e diffuse su tutto il territorio.Anche l’eventuale intervento sui serbatoi di Leishmania è tutt’altro che agevole,di fatto impossibile.In verità da più parti viene proposto lo stamping-out (uccisione in massa)dei cani positivi,soprattutto per diminuire l’incidenza della malattia nell’uomo,ma i risultati sperimentali di questi tentativi –praticati in Sicilia,Cina e Brasile– sono stati contrastanti, spesso fallimentari.Infatti c’è una miriade di fattori da considerare, prima di dare effettivo credito a queste pratiche,in primis l’esistenza dei serbatoi selvatici(cani randagi,lupi,volpi,roditori,forse rettili,ecc.)o comunque diversi dal cane(uomini e gatti).Se associamo questi aspetti a naturali considerazioni di ordine etico-morale,non si può che concludere, con Catarsini,”che è del tutto inutile ed anche illusorio e delittuoso pensare di combattere la leishmaniosi uccidendo i cani domestici nei quali è stata accertata la malattia.Gli unici interventi praticamente realizzabili,che forniscono risultati variamente incoraggianti,sono quelli di prevenzione delle punture dei flebotomi.Abbiamo qui volutamente tralasciato l’aggettivo“infetti” riferito ai flebotomi,in quanto tutti i dispositivi “anti-punture”andrebbero adottati non solo per proteggere i cani sani dai pappataci infestanti,ma anche per evitare che insetti non infetti possano assumere il parassita,pungendo i cani positivi,e rappresentare così un problema per la salute animale ed umana. Certamente anche un soggetto già leishmaniotico trae giovamento da queste misure preventive,evitando il rischio di aumentare la sua carica parassitaria,già così difficile da abbattere.I possibili metodi d’intervento sono diversi e possono/debbono essere adottati anche in associazione tra loro.Si deve evitare,per quanto possibile,di far dormire il cane all’aperto durante la notte,durante il periodo primaverile-estivo:la maggior parte degli animali infetti vive costantemente in box a cielo aperto;il fatto che i cani esclusivamente adibiti alla compagnia –segnatamente quelli di piccola taglia– siano colpiti dalla malattia in bassa percentuale,riflette proprio il loro stile di vita prevalentemente domestico.Analogamente anche le passeggiate serali rappresentano un rischio potenziale anche se,durante il movimento, le punture dei flebotomi risultano difficoltose.I box e le finestre delle abitazioni dovrebbero essere dotati di zanzariere a maglia fitta(lato non superiore a 2 mm),eventualmente impregnate con qualche buon prodotto insetticida-insettorepellente.Possono essere utili anche i dispositivi elettrici“friggi-zanzare”o le “trappole appiccicose”,da porre nelle immediate vicinanze dei luoghi di riposo notturni dei cani.Un discorso a parte deve essere dedicato ai prodotti repellenti da applicare direttamente sulla cute e sul pelo degli animali:le sostanze dotate di migliore attività contro i pappataci sono risultati i piretroidi sintetici.In commercio sono presenti diverse formulazioni spray a base di permetrina(Duowin®, Defendog®),tetrametrina(Neo Erlen®)o sostanze naturali(Fly-Away®).A prescindere dalle quantità in cui sono presenti i componenti attivi,questi prodotti soffrono di limiti insiti nella loro modalità di applicazione,che risulta discontinua e poco controllabile. Exspot® ed Advantix® sono formulazioni spot-on(pipette da spremere sulla cute)a base di permetrina(+imidacloprid,un antipulci,nel secondo), che studi scientifici dimostrano essere efficaci nella prevenzione delle punture dei flebotomi.Dal 1997 ad oggi sono comparse numerose pubblicazioni su ricerche effettuate per valutare l’effetto“anti-feeding” (contro il pasto di sangue)nei confronti dei pappataci,da parte del collare Scalibor Protector Band®(principio attivo: deltametrina).Questi studi,massicciamente promossi dalla ditta produttrice(Intervet™), dimostrano come l’applicazione di detto collare ai cani che vivono in aree fortemente endemiche per leishmaniosi,risulti in una protezione statisticamente significativa,in comparazione ai cani di controllo(senza collare).Valutando il tasso di sieroconversione(comparsa degli anticorpi anti-Leishmania)sono state ottenute percentuali di protezione fino al 75-86%,in dipendenza della diversa pressione di diffusione stagionale dei flebotomi.Pur trattandosi di dati estremamente positivi,non si deve dimenticare che il collare e/o le gocce non possono rappresentare una protezione“assoluta”(come qualsiasi dispositivo“anti-pappatacio”).Si può però supporre,come lasciano intuire alcuni studi,che l’utilizzo massivo di questi mezzi preventivi possa portare ad una riduzione dei casi di leishmaniosi canina ed umana,al di là del valore profilattico per i singoli animali.Se trattiamo i cani ammalati con i migliori mezzi terapeutici a disposizione,se cerchiamo di prevenire le punture degli insetti vettori con dispositivi di provata efficacia,veramente non c’è ragione che i concetti di stress e depressione possano caratterizzare il nostro rapporto con la leishmaniosi canina.L’importante,come diceva Luigi Di Bella,”è avere la coscienza di aver fatto tutto quello che era possibile fare”.

Speranze in un mondo migliore

Le speranze sulla vaccinazione e su nuovi,finalmente efficaci,presidi terapeutici,sono oggi concentrate sulle ricerche che indagano le intime relazioni –genetiche e molecolari– fra Leishmania,le cellule macrofagiche e la risposta immunitaria Th1/Th2.Capire finalmente perché,senza ombra di dubbio,alcuni soggetti infetti non si ammalano,ci porterebbe almeno a prevenire lo stadio della malattia clinica giacché,nell’immediato futuro, la prevenzione dell’infezione tout court risulta impraticabile.

Fonte: Leishmania.org

MALATTIE GENETICHE: RIFLESSIONI POST SEMINARIO


Cari soci, 
il seminario tenuto dal Prof. Renieri a Reggio Emilia sulle malattie genetiche crediamo debba aprire un dibattito sull’interpretazione delle strategie atte ad evitare problemi di salute dei nostri cani sia multifattoriali o poligeniche che dir si voglia.
Per chi non era presente diamo un breve riassunto dei punti salienti su cui poter riflettere e fare considerazioni di merito. Il Prof. Renieri, che è un esperto genetista e responsabile di diversi progetti di tutela per animali da reddito, ha infatti dedicato gran parte del seminario a spiegarci la relazione tra malattie multifattoriali e la parentela tra i riproduttori.
Se infatti le malattie single recessive sono relativamente facili da controllare al primo manifestarsi, come voi sapete le poligeniche sono imputabili ad un pool di geni e fattori ambientali. Questo significa che non necessariamente gli animali manifesteranno la malattia,ma altrettanto sicuramente possono essere portatori del medesimo pool genetico”difettoso”.

La difficoltà di controllo di malattie quali la displasia, l’epilessia etc. è dovuta proprio a questo….non basta eliminare gli animali malati dalla riproduzione,perché anche tutti i parenti di 1 ° grado portano il medesimo pool e seppur con un grado di incidenza minore anche i parenti di 2° grado. In razze ad andamento demografico con numeri piccoli ciò complica di parecchio le strategie, e diventa veramente importante la collaborazione tra gli allevatori al fine di garantire e salvaguardare la diversità genetica tale da mantenere nel giusto livello la consanguineità,che potrebbe diventare deleteria in rapporto a pool genetici difettosi. A tal fine riportiamo letteralmente le seguenti frasi del professore corredate da grafici che furono proiettati in sala:”Qui il problema è molto diverso… qui il problema è completamente diverso… qui non possiamo più parlare di eredità come trasmissione di singolo gene con modelli che conosciamo da genitori a figli.

 

Qui siamo in presenza di un concetto più allargato di eredità che è quella che viene chiamata famigliarità… per la displasia dell’anca, per l’epilessia, per il criptorchidismo e per altre forme esiste una famigliarità …cioè se io dimostro che la popolazione degli individui parenti dei malati, cioè i suoi famigliari in qualche maniera,fanno più frequentemente la malattia rispetto agli individui della popolazione generale,allora ho dimostrato che esiste una componente genetica… ma prima di farlo,prima di parlare di una componente genetica devo appunto dimostrare questo tipo di relazioni… E allora avviene una conseguenza grave per le malattie multifattoriali (vedi schemi sotto) che poi è il ragionamento che sempre mette in difficoltà quando ragioniamo con gli allevatori della displasia dell’anca. Queste sono 3 distribuzioni in cui vedete in bianco…parzialmente in bianco e poi vedete si sovrappone all’altra…la distribuzione della popolazione generale…
distribuzione generale della razza e relativa area di incidenza della malattia:

 

 

Linea della soglia critica. Confronto tra le aree di incidenza di una malattia nella popolazione generale e tra i famigliari di 1° grado: Confronto tra le aree di incidenza di una malattia nella popolazione generale e tra i famigliari:




Le due aree di incidenza si differenziano ancora grandemente, ma in diminuzione. Allora,per esempio… questa è la displasia dell’anca nella popolazione generale…vedete che comparsa della malattia nella popolazione generale è questa, e questa piccola parte qui l’area di i questa che vedete all’inizio è la distribuzione degli individui detti consanguinei di primo grado, p genitori o i fratelli e sorelle pieni… e guardate quanto è ampia l’area di incidenza… quanto « rispetto all’area di incidenza nella popolazione generale.

 

Questo vuol dire che la displasia dell’ l’analizzate nei parenti di primo grado ha una frequenza molto superiore a quella della frequenza generale.
Queste sono le due distribuzioni… una la popolazione generale e l’altra dei parenti di 2° g esempio dei mezzi fratelli… stesso padre, madre diversa… o i cugini di primo grado… e vedete gradi di incidenza che è comunque maggiore a quella della popolazione generale si sia ristretta… se parenti di terzo grado vedete che praticamente si sovrappongono… cioè tra parenti di tee popolazione generale non c’è praticamente più differenza.
Allora questo ha una conseguenza grave, questo discorso… perché? Volete controllare 1 dell’anca? …benissimo… dovete ovviamente eliminare i displasici dalla riproduzione, ma non eliminare anche i parenti di primo e forse anche di secondo grado…”Il Prof. Renieri ci ha poi messo in guardia da un interpretazione sbagliata dei gradi raggiunti agli esan displasia. Infatti A (Al e A2 corrispondenti ad Excellent e Good delTOFA) rappresenta un anca pej potrebbe essere ambiguo, soprattutto se si pensa che noi (tranne alcuni rari casi) non sottoponiamo animali ad uno stress funzionale come in origine.

 

Sollecitazioni dovute al lavoro massacrante ed alle cond generali. Un anca B ai giorni nostri cosa sarebbe stata nell’artico? Se il B è dovuto ad una certa lassità dovuta a scarso tono muscolare magari poteva essere meglio, ma poteva invece essere un C dato che le 5 generano e scatenano le artrosi in articolazioni non perfette. Ed ecco perché sarebbe importante sottop cani anche a prove attitudinali di lavoro anche solo a livello facoltativo; l’allenamento necessario pe darebbe sicuramente qualche indicazione di selezione molto utile agli allevatori. A tal fine riteniamo uti divertente, l’idea di istituire un campionato di lavoro, indipendente dal campionato espositivo, al £ osservare i nostri cani anche mentre lavorano e non solo nei ring delle expo. Va da se che quei conseguissero sia il campionato di bellezza che vari titoli di lavoro aumenterebbero il loro prestigio. Il grado B apre poi da sempre una riflessione sulla soggettività o meglio ancora severità che il risultato pò in rapporto al lettore ufficiale.
Invece per quanto riguarda il grado C non ci sono dubbi: è da intendersi malattia a tutti gli effetti, pertanto C è malattia, seppur lieve, significa che l’animale con grado C porta senz’altro un pool di geni dell’articolazione che è difettoso ed è altrettanto sicuro che adoperare in riproduzione animali C significa assieme al resto anche i “caratteri displasici”.

 

Il Prof. Renieri ci ha spiegato bene che non ha nessuna il grado di malattia. Riportiamo ancora le sue parole:
” L’individuo sano non necessariamente non darà origine ad uno malato, ma certamente… fondamentale… l’individuo malato è portatore di una combinazione genetica per la malattia… 1 corso a Pisa… è quindi inutile ragionare sui gradi di displasia… se considerarli… se ferii ri meno… i gradi B etc… è un ragionamento assolutamente privo di qualsiasi… diciamo senso gè: l’individuo è displasico vuol dire che geneticamente lo è, perché ha la combinazione per avere h che quindi questa quasi certamente trasmetterà… è chiaro il ragionamento? Allora qui spendiamo delle parole chiare… chiare… geneticamente chiare… in modo che t testa… le classificazioni… le gradazioni della displasia sono gradazioni di tipo clinico, in funzione della maggiore o minore gravità della malattia… questo esiste per qualsiasi malattia vogliamo valutare.

 

Da un punto di vista genetico però questo qui non ha alcun significato, perché così come avete visto è possibile che da normali nascano displasici o addirittura da dispasici x displasici possano nascere normali… non esiste alcuna relazione, sentite bene, tra il grado di displasia e il tipo di nascite che osserveremo… mi spiego meglio… da due displasici lievi può nascere un grave… da due gravi può nascere un lieve… questa è la prova che non esistono soglie diverse geneticamente parlando… da questo punto di vista qui tutti i soggetti malati, di qualsiasi gradazione, sono chiaramente portatori di un genotipo predisponente alla displasia… abituatevi a ragionare in questi termini…”
Dalle parole del Prof. Renieri risulta evidente che è errato usare un animale perché “solo lievemente displasico” perché è comunque portatore della malattia multigenica e darà sicuramente una discendenza con forse alcuni soggetti sani (comunque portatori) ma soprattutto darà animali anche lievemente malati o persino gravemente malati. Se quindi il Professore ci ha esortato a considerare bene gli animali con grado B in quanto grado non ben definito in assenza di fattori ambientali severi, ci ha caldamente consigliato di eliminare da qualsiasi programma animali con grado C per evitare di selezionare sicuramente caratteri portatori della malattia.
Alla luce di quanto emerso al seminario, ma che comunque era già risaputo, ci chiediamo se non sia giunto il momento di riconsiderare il grado minimo necessario per la proclamazione dei campioni sociali.

 

Un campione sociale di grado C è sicuramente un campione malato anche in assenza di sintomatologia classica e visibile e pertanto come può essere incentivata la sua attività riproduttiva permettendone comunque la qualifica di campione? La nostra non è una razza con problemi di estinzione ne tanto meno una razza appena creata con animali di cui non si sapevano i pregressi. Non dobbiamo accettare un’incidenza seppur minima come se fosse inevitabile, perché così facendo tra qualche decennio “tutti gli animali avranno nel loro pool genetico qualcosa che non va… (sperando che non sia già così)… che magari si manifesterà anche “solo” nel 15/20% dei casi, ma che non ci permetterà più di avere progressi nella lotta alla malattia (un po’ come è successo per altre razze).

 

Vale la pena quindi secondo noi discutere per la creazione di un codice con regole più restrittive.
Alcuni esempi: sarebbe meglio non accoppiare mai due soggetti di grado B perché qualora tutti i 2 B sottoposti a stress da lavoro fossero potenziali C allora noi selezioneremmo la malattia. Bandire da tutti i programmi i soggetti con grado C e vietandone la proclamazione a campioni, in quanto portatori sicuri della malattia. Studiare una forma di incentivazione per gli accoppiamenti A x A ed A x B magari con una classificazione di cucciolata di Elite rilasciata dal CIRN dietro presentazione degli esami (a differenza delle cucciolate di privati od allevatori meno attenti che non avessero sottoposto i propri cani a controlli ufficiali).
Questo potrebbe a nostro avviso aiutare gli allevatori seri ad esibire una garanzia in più nonché ad essere gratificati per il proprio impegno nei confronti della razza.

Malattie oculari ereditarie nelle razze nordiche

Stefano Pizzirani, Medico Veterinario, DECVS, Dottorato di Ricerca in Oftalmologia Veterinaria, Univ. Di Torino
Elena Barbasso, Medico Veterinario, Dottorato di Ricerca in Oftalmologia Veterinaria, Univ. Di Torino
Adolfo Guandalini, Medico Veterinario, DECVO, Dottorato di Ricerca in Oftalmologia Veterinaria, Univ. Di Torino
Federica Maggio, Medico Veterinario, Clinica Veterinaria Europa, Firenze
Claudio Peruccio, Medico Veterinario, DECVO, Professore Associato, Univ. Di Torino

Il controllo delle malattie ereditarie oculari assume oggi particolare importanza in soggetti di razza pura ed in special modo in certe razze per la frequenza e la possibilità che alcuni difetti oculari hanno nel creare problemi di funzione visiva con handicap del soggetto stesso, trasmissione ai discendenti e coinvolgimento affettivo da parte del proprietario. Il controllo dei soggetti di razza consente l’individuazione dei cani affetti e portatori e, siccome le terapie spesso non esistono (vedi PRA), sono palliative (vedi glaucoma) o sono rivolte alla soluzione contingente (vedi cataratta) comportando coinvolgimenti emotivi ed economici dei proprietari, tale riconoscimento, accanto alla eliminazione del portatore dai programmi di selezione è l’unica vera soluzione ai problemi trasmessi ereditariamente.

Visto che alcune malattie sono ben riconoscibili in fase precoce od asintomatica, una diagnostica precisa assume un’importanza fondamentale nella prevenzione ed anche nell’eradicazione di difetti saputi genetici.

I vantaggi sono numerosi nell’interesse della salute e del benessere animale, e le penalizzazioni economiche che alcuni possono intravedere in un rigido ma serio controllo sono solo a breve scadenza e comunque imprescindibili da un punto di vista etico, mentre invece saranno sicuramente premiati a lungo termine coloro che capiranno la portata futura di una selezione guidata anche con obbiettivi di sanità animale. E’ ovvia l’importanza che assume l’ENCI a questo punto nel farsi promotore dell’iniziativa di controllo, garantendo a quegli allevatori che si espongono un marchio di qualità superiore.

Le Autorità Garanti, così attente nei confronti della tutela del consumatore in altri settori non dovrebbero tardare a regolamentare anche il campo della compravendita dei soggetti di razza, tutelando salute e benessere animale oltre agli interessi di chi acquista un animale. I potenziali acquirenti e soprattutto gli animali hanno il diritto di essere tutelati e selezionati nel modo migliore oggi conosciuto.

In paesi più evoluti in questo senso il controllo delle malattie ereditarie è obbligatorio e la pubblicazione dei resoconti dei controlli è resa pubblica, in maniera non da penalizzare i proprietari di soggetti portatori, ma da agevolare le monte fra soggetti liberi perlomeno fenotipicamente. Un comportamento così cristallino potrà soltanto favorire gli allevamenti “seri”, che agiscono con obbiettivi di interesse di razza.

L’inizio del riconoscimento dei soggetti liberi può consentire inoltre, attraverso lo studio dei pedigree, di risalire anche genotipicamente alle linee più sicure.

I tempi in cui poter attuare simili selezioni sono piuttosto lunghi e non ci si possono aspettare risultati immediati, soprattutto per alcune malattie oramai ampiamente radicate nei genomi di alcune razze. Soltanto attraverso un’impostazione seria, scientifica e capillare sta comunque l’eventuale miglioria.

Per quanto riguarda le razze nordiche, particolare attenzione è stata rivolta al Siberian Husky vista la sua diffusione e vista l’abbondanza di letteratura scientifica al merito.

Anche l’Akita Inu, l’Alaskan Malamute ed il Samoiedo sono razze contemplate sui testi che codificano le informazioni scientifiche riguardo le malattie oculari ereditarie. Poco si conosce delle altre razze appartenenti alle razze nordiche in quanto razze poco diffuse. L’inizio di un regolare controllo consentirà in breve di avere una mappatura e casistica sufficiente alle statistiche di presenza nel nostro paese.

Nella Tabella 1 si possono esaminare le varie malattie riconosciute o ritenute probabilmente ereditarie ed il loro modo di trasmissione, nei soggetti di razza nordica. Le malattie più frequenti sono riportate in neretto.

Tabella 1

Razza Malattia Età di insorgenza Modo di trasmissione Consigli
Siberian Husky Entropion
Distrofia Corneale 5 mesi-8 anni Recessivo Non riprodurre
Cheratite Superficiale Cronica
Membrana Pupillare Persistente
Sindrome Uveodermatologica
Cataratta (sottocapsulare posteriore) 6 mesi-3 anni Recessivo Non riprodurre
Lussazione della lente 3-6 anni Recessivo
Atrofia Progressiva della Retina 2-4 anni Recessivo. Legato al cromosoma X
Displasia retinica Congenita
Glaucoma 1-4 anni Recessivo Non riprodurre
Akita Inu Entropion
Sindrome Uveodermatologica 1.5 – 4 anni Non chiaro Difficilmente prevenibile
Displasia retinica Congenita Recessivo
Atrofia Progressiva della Retina 1-3 anni Recessivo Non riprodurre
Difetti Congeniti Multipli Congenito Recessivo Non riprodurre
Glaucoma 2-4 anni Sconosciuto
Alaskan Malamute Cataratta Non definito Non riprodurre
Cecità diurna Recessivo autosomico Non riprodurre
Atrofia Progressiva della Retina Entro 4 anni Non definito Non riprodurre
Glaucoma Media età-anziani Non definito Non riprodurre
Samoiedo Distichiasi
Entropion
Distrofia corneale Non definito Scelta dell’allevatore
Sindrome Uveodermatologica
Cataratta corticale posteriore 6 mesi-2 anni Non definito Non riprodurre
Cataratta altri tipi Non definito Non riprodurre
Glaucoma 2-3 anni Non definito Non riprodurre
Atrofia Progressiva della Retina Non definito Non riprodurre
Displasia retinica con difetti scheletrici Congenito Dominante Incompleto Non riprodurre

L’esame consiste nella valutazione dei riflessi oculari e delle reazioni visive dell’animale, eseguendo test con luce focalizzata. Per tale determinazione il soggetto non deve essere trattato con farmaci precedentemente.

Dopodiché si esegue un esame con biomicroscopio (ingrandimenti di circa 10-16 volte) sul segmento anteriore e sulla lente, senza l’uso di sostanze midriatiche (che dilatino la pupilla). Con tale esame si riesce a riconoscere la presenza di eventuali disordini palpebrali e/o ciliari, di alterazioni della trasparenza della cornea (distrofie corneali in particolare) o di presenza di aree di cataratta. Per una valutazione più corretta e completa della lente è però necessario provvedere all’instillazione di alcune gocce di midriatico nell’occhio. Nel giro di 20 minuti la pupilla viene dilatata farmacologicamente e si può quindi effettuare una precisa valutazione della lente per la presenza di aree più o meno diffuse di opacità (cataratta) e si può eseguire un esame completo del fondo oculare (retina) per la diagnosi di eventuali difetti ereditari della stessa. Per tali esami pertanto non si devono eseguire particolari trattamenti al cane. La dilatazione pupillare non dà particolari problemi e perdura per 3-4 ore al massimo. E’ molto importante disporre di un ambiente oscurabile e di un assistente che tenga immobile l’animale. Per distrofia corneale si intende un’opacità della cornea, di natura non infiammatoria, rappresentata da depositi di materiale lipidico nello spessore della cornea stessa. Rappresenta una malattia rilevante nel Siberian Husky ove può assumere varie forme più o meno gravi. Si presenta come un alone bianco/marrone con forma di anello o di opacità centrale. Può provocare nei gradi più gravi anche difficoltà visive. Purtroppo non esistono terapie. Si consiglia di non riprodurre i soggetti malati. Per cataratta si intende qualsiasi opacità della lente che alteri la rifrazione del fascio luminoso sulle strutture retiniche. Nelle razze nordiche di solito interessa la porzione più posteriore ed è più frequente nei soggetti di giovane età. Tale cataratta può essere evolutiva fino a dare opacità completa della lente e disturbi visivi seri. Non esistono terapie farmacologiche efficaci. La terapia chirurgica è l’unica terapia in grado di riconsentire la funzionalità visiva all’animale, ma tutti i pro ed i contro di una tale scelta vanno discussi chiaramente con il medico veterinario.Si consiglia di non riprodurre i soggetti malati e di non utilizzare i loro parenti.Sindrome uveodermatologica. Le razze nordiche in particolare hanno la predisposizione a sviluppare una malattia a carattere immunitario che colpisce l’occhio, i suoi annessi e la cute. Tale malattia si manifesta inizialmente con la perdita di pigmentazione delle strutture cutanee (naso, bocca e palpebre) del muso. L’iride, particolarmente provvista di cellule pigmentate può sviluppare una grave reazione infiammatoria che compromette brevemente o a lungo termine, la normale funzione visiva. Tale malattia complessa non ha un particolare riferimento ad un gene. E’ sicuramente legata a molteplici fattori, probabilmente anche di natura ereditaria che coinvolgono soprattutto il sistema di difesa immunitario e la sua capacità a reagire più o meno normalmente agli stimoli. Le terapie che si attuano sono terapie immunosoppressive, ma a lungo termine la maggior parte dei soggetti colpiti diviene cieco con glaucoma e tisi bulbare.

E’ difficile dare consigli non avendo ancora chiaro la causa primaria della malattia. Si lascia di solito la scelta all’allevatore anche se converrebbe catalogare i soggetti ed esaminare i riferimenti genetici dei soggetti colpiti.

Le razze nordiche più conosciute hanno la predisposizione a sviluppare un glaucoma di tipo ereditario. Il glaucoma è una malattia dell’occhio che porta all’aumento della pressione intraoculare con perdita di funzione visiva. Tutte le terapie sono purtroppo inefficaci nel lungo termine a mantenere la vista all’animale colpito. Nel glaucoma a predisposizione ereditaria, il difetto anatomico che favorisce lo sviluppo del glaucoma è presente fin dalla nascita. Si tratta di un alterato sviluppo di un particolare settore anatomico dell’occhio, compreso fra la base dell’iride e la giunzione corneo sclerale. Tale struttura anatomica è l’angolo iridosclerocorneale o angolo camerulare. Uno sviluppo alterato viene denominato “goniodisgenesi”. Il controllo di quest’angolo è possibile attraverso alcune lenti angolari speciali che si applicano sulla cornea con l’aiuto di gel specifici. E’ molto raro e difficile che un animale sveglio acconsenta all’applicazione della lente sull’occhio o perlomeno per un periodo di tempo sufficiente al controllo di tutti i 360° dell’angolo camerulare. Infatti di solito è necessaria una anestesia breve ma generale per il compimento corretto dell’esame. Per questo motivo il controllo dell’angolo camerulare non viene eseguito, salvo condizioni particolari, come controllo di routine.

E’ nostra personale opinione che nei soggetti subalbini ad occhio blu l’incidenza di tale difetto sia più alta.

I soggetti colpiti non andrebbero riprodotti. L’atrofia progressiva della retina (PRA) è una malattia che colpisce lentamente e progressivamente i fotorecettori retinici, cellule specializzate per la visione. Questa atrofia avviene più o meno lentamente ed è purtroppo inesorabile, destinando i soggetti colpiti alla cecità. Si manifesta in più forme e ad età differenti nelle varie razze. La cecità diurna (nictalopia) e la cecità notturna (emeralopia) sono sue sottodivisioni.Il suo riconoscimento oftalmoscopico può essere solo tardivo, a malattia oramai in stato avanzato, cosicché al momento della diagnosi i soggetti malati possono avere già avuto discendenza. Una diagnosi precoce ed un’attenta selezione con particolare riguardo alla scelta dei razzatori provenienti da pedigree esenti nel tempo è l’unica attuale garanzia.

Le malattie trasmissibili ereditariamente possono essere gravi handicap che compromettono una normale funzione vitale nell’animale e che possono creare difficili situazioni nel complesso rapporto uomo-animale. Siccome la loro eliminazione, se possibile, passa solo attraverso dei seri controlli sanitari, è evidente l’importanza che assumono il ruolo dell’allevatore e del veterinario e della loro reciproca collaborazione. L’obbiettivo della salute e benessere animale e quindi delle garanzie di selezione appropriata non possono che essere un comune denominatore delle due categorie. Un ruolo determinante deve essere assunto dalle Istituzioni che regolamentano gli allevamenti e le manifestazioni cinofile attraverso un serio programma di controllo certificato, anche in virtù del raggiungimento ed adeguamento degli standard europei.

RELAZIONE SUL SEMINARIO
“AGGIORNAMENTI INERENTI LA RICERCA SULLA SINDROME DI HARADA”

Il 22 e 23 settembre 2007, in occasione dell’annuale Akita Cup, ho tenuto nun seminario inerente nuovi aggiornamenti scientifici sulla sindrome di Harada. L’ho voluto dividere in tre parti:

parte prima: illustrare la malattia
parte seconda: illustrare il protocollo terapeutico
parte terza: illustrare le novità diagnostiche molecolari.

PARTE PRIMA
Esistono delle malattie che colpiscono l’Akita, le più frequenti sono la sindrome di Harada e l’Adenite Sebacea. Ovviamente la frequenz è minore ad altre patologie che colpiscono altre razze (ad esempio la displasia dell’anca nel pastore tedesco e la torsione dello stomaco nell’alano). Ciò che le accomuna è un’alterazione del sistema immunitario.
La funzione del S.I. è di proteggere l’organismo dall’aggressione di agenti esterni (biologici e non).

Ciò che ne regola l’azione è il COMPLESSO MAGGIORE D’ISTOCOMPATIBILITA’.
Questo è suddiviso in due classi: Classe I e Classe II
Entrambe sono regolate dal DLA (Antigene Leucocitario Canino), il quale comprende 4 geni per entrambe le classi:
DLA -DRB1 * DLA-DQB1 * DLA-DQA1 (interesserà a noi)
Questi sono presenti nel cromosoma 12.
La causa scatenante le malattie autoimmuni è l’interruzione dell’autotolleranza, ovvero la capacità di discriminare ciò che è estraneo e quindi attaccarlo da quello non estraneo.
I fattori possibili possono essere l’età, i fattori ormonali, genetici e ambientali.

LA SINDROME DI HARADA

E’ una malattia immunomediata dell’occhio e della cute, è debilitante in quanto porta a una cecità mono e/o bilaterale. I sintomi principali che la contraddistinguono sono una depigmentazione della cute e un’uveite bilaterale. Tuttavia esiste una variante umana che colpisce soprattutto i popoli orientali con sintomi simili, ma con la presenza di alterazioni del sistema uditivo e delle meningi.

Prevede:
Uso orale (pastiglie) e topico (colliri) di corticosteroidi, la cui funzione è ridurre lo stato infiammatorio
Immunosoppressori che controllano e regolano il sistema immunitario
Atropina riduce la pressione dell’occhio
Questa terapia ha dei limiti in quanto non porta a guarigione il soggetto, ma riduce solo il progredire della malattia, per questo motivo è importante il valore della prevenzione.
Appurato che l’eziologia (l’origine, la causa scatenante) è sconosciuta è importante, innanzitutto individuare le cause:
E’ legata al mantello?
E’ una mutazione?
E’ multifattoriale?
E’ ambientale?
E’ legata alle vaccinazioni?
In nostro aiuto arrivano le TECNICHE MOLECOLARI che, attraverso le analisi del DNA (acido nucleico, contiene l’informazione della vita) individuano le possibili origini scatenanti di certe malattie.

Prima di continuare sarebbe opportuno avere un’infarinatura di certi termini tecnici:
CROMOSOMA: materiale genetico della cellula, organizzato in strutture lineari
GENE: sequenza nucleatidica che caratterizza un individuo
LOCUS: sito specifico di un gene. Localizzati sul cromosoma
ALLELE: forme alternative di un gene
Una tecnica utilizzata è la PCA (Polimerasi Chain Reaction), da un segmento di DNA attraverso dei cicli si ottengono molteplici copie del frammento stesso.

Un recente studio americano ha individuato la variante allelica
responsabile della malattia:
DLA-DQA1*00201
Vennero “utilizzati” 30 Akita americani: 15 malati, 10 portatori e 5 sani. Da questi venne prelevato un campione biologico (saliva), e isolato successivamente il DNA. Il passo successivo fu preparare il DNA per la PCA.

RISULTATI
La diffusione della malattia non è determinata da un’area geografica specifica.
Colpisce Akita Giapponesi e Akita Americani
Per il momento DLA-DQA1*00201 non è indicatore assoluto della malattia

CONCLUSIONI
Questo studio è molto interessante in quanto ha individuato la variante allelica della malattia, ovviamente essendo agli inizi ha dei limiti:
questo studio è stato fatto sul cugino americano. Passo europeo sarebbe quello di vedere se questa variante allelica corrisponde o si avvicina al giapponese testo non è ancora 100% affidabile

I test genetici hanno i loro vantaggi e svantaggi:
VANTAGGI:
Monitoraggio parallelo di più malattie
Studio degli accoppiamenti
Risparmio economico
Creazione di linee resistenti alle malattie, grazie soprattutto alle biotecnologie
SVANTAGGI:
Personale altamente qualificato
Attrezzature costose

Tutto questo a mio avviso è fattibile qualora i Club (Italiani, Esteri), allevatori si sedessero ad un tavolo e decidessero di standardizzare il protocollo, rendendo uguale in ogni paese il test genetico.

L’angolo della Salute a cura della Dott.ssa Francesca Zuffolato Pischiutta